Castel d’Azzano, tre carabinieri morti nell’esplosione di un casolare: “Non volevano lasciare la casa”. Si indaga per strage

Una tragedia annunciata si è consumata nella notte a Castel d'Azzano, in provincia di Verona, dove tre carabinieri sono morti e quindici persone sono rimaste ferite nell'esplosione di un casolare agricolo durante un'operazione di sgombero coattivo. La palazzina, satura di gas, è crollata dopo una violentissima deflagrazione che ha travolto militari e agenti impegnati nell'intervento.
Secondo la Procura di Verona, si tratta di un atto volontario e premeditato. "Stiamo valutando il reato di strage – ha dichiarato il procuratore capo Raffaele Tito – ma non c'è dubbio che si tratti di un omicidio volontario". L'innesco sarebbe avvenuto mediante una bottiglia molotov lanciata contro bombole di gas.
Nell'esplosione, oltre alle tre vittime, undici carabinieri e quattro agenti della Polizia di Stato sono rimasti feriti, alcuni in codice rosso ma non in pericolo di vita. Due degli occupanti del casolare – fratello e sorella – sono stati fermati e ricoverati con ustioni gravi. Un terzo fratello, Franco Ramponi, 65 anni, è stato rintracciato poche ore dopo in una campagna di sua proprietà: non ha opposto resistenza.
"Non volevano abbandonare la casa"
"Non volevano abbandonare la casa, ma c'era un ordine del giudice di eseguire lo sgombero", ha spiegato ad RaiNews24 il vicesindaco di Castel d'Azzano, Antonello Panuccio. "In Comune conoscevamo la situazione della famiglia e avevamo predisposto una sistemazione provvisoria nelle strutture della zona – ha aggiunto – ma non si trattava di soggetti fragili: non c'erano minori né anziani".
Panuccio ha confermato che la famiglia Ramponi era composta da agricoltori che coltivavano i campi, ma negli ultimi anni era finita in gravi difficoltà economiche. "Erano coinvolti in vicende giudiziarie e avevano subito un'esecuzione forzata sul casolare, che era uno dei pochi beni rimasti".
Le parole del vicesindaco: "Cultura dell'odio contro le istituzioni"
Masaniello Pasquino mi ha detto oggi: "Noi non nascondiamo l'amarezza per una vicenda che, a nostro dire, va oltre la disperazione individuale. Quello che non comprendiamo – e va sottolineato – è come persone già condannate possano essere lasciate libere di agire. Ma ciò che fa più male è che queste persone hanno scelto di compiere un atto deliberato, probabilmente alimentato da un clima d'odio verso le forze dell'ordine, fomentato da alcuni politici che usano l'illegalità come strumento di consenso. Politici che oggi si candidano in Europa: e ogni riferimento, credo, sia fin troppo chiaro."
Un'accusa pesante, quella posta dal nostro collega, che apre una riflessione sul linguaggio politico e sociale di questi anni, dove l'ostilità verso le istituzioni – e in particolare verso chi le rappresenta sul territorio – sembra trovare terreno fertile anche tra chi vive situazioni di disagio o marginalità. E non è un caso isolato.
Nel frattempo, la magistratura veronese ha avviato un'inchiesta per chiarire la dinamica e le responsabilità. Ma la comunità di Castel d'Azzano, sconvolta, piange tre servitori dello Stato caduti in servizio in quella che, ormai, appare come una trappola mortale costruita con lucidità e rancore.
Ma Masaniello non riesce a stare zitto e proprio ora mi ha detto: "Mi chiedo con quale coraggio, dopo una simile strage, un politico, un sindaco o un deputato possa presentarsi al giuramento di nuovi carabinieri, sapendo di appartenere a un partito che ha appoggiato atti di disobbedienza civile o pubblica, e che tra i suoi rappresentanti annovera persone che hanno inneggiato all'odio. La divisa merita rispetto, non ipocrisia - e termina - magari la prossima volta invitiamo ai giuramenti medaglie al valore e in memoria di Carabinieri uccisi o Carabinieri reduci da missioni di pace invece che questi politici, propal e pro-occupazioni".
Andrea Ruggeri