“Cercasi commesso volenteroso, astenersi calabresi”

20.02.2023

StrettoWeb Informa; "Cercasi commesso volenteroso, astenersi calabresi" A denunciare pubblicamente l'episodio, con tanto di foto nelle sue Instagram Stories, è il giornalista reggino Gabriele Parpiglia, che non le ha mandate a dire al titolare dell'attività

Eccone un altro. Qualche giorno fa fu: "non si affittano case a chi non ha un contratto a tempo indeterminato, ancor di più se meridionali". Questa volta è ancora peggio: "cercasi commesso volenteroso da subito, astenersi calabresi"

A denunciare pubblicamente l'episodio, con tanto di foto nelle sue Instagram Stories, è il giornalista reggino Gabriele Parpiglia, che non le ha mandate a dire al titolare dell'attività. "Da tempo avevo detto stop alle risse social - le parole di Parpiglia - Preferisco quelle in tribunale (tra l'altro giovedì ho vinto una causa contro una persona che mi ha diffamato sui social e ha pagato tutto, soldi dati ovviamente in beneficenza). Però questa frase di merda non passa. Succede a Fai della Paganella che è un comune italiano di 920 abitanti della provincia di Trento. Spero davvero che venga rimossa subito. E spero che chi è stato mandato via, possa riprendere il suo lavoro. Ps: a te che hai chiesto questi requisiti ti dico che è meglio astenersi dagli ignoranti pezzi di merda".

Grazie a StrettoWeb e a U Riggitanu forse qualcosa succederà, speriamo. Intanto io mi proporrei parte civile contro questi signori, se e quando il collega vorrà denunciarli, ci informi e saremo ben lieti di poterlo fare.

Commento di fondo

Il razzismo verso la Calabria ed il meridione in generale, purtroppo fa parte della storia fin dal principio dell'Italia. Ricercatori e ricercatrici hanno hanno ricostruito una "storia dell'identità razziale degli italiani", analizzando la "bianchezza" prodotta dal gruppo dominante contro i Borboni e la storia greco araba del Sud, insieme ai processi di razzializzazione di coloro che sono stati considerati "neri", anche se forse piщ normanni che al nord.

Se pensiamo che al tempo di Roma Antica vari imperatori erano neri e di origine africana (come Settimio Severo, Caracalla, Geta, Macrino, Diadumeniano, Alessandro Severo, Giordano I e Giordano II, Filippo l'Arabo e Filippo II sicuramente ci siamo persi nel corso dei secoli uno sbiancamento, all'inizio bizantino e mano a mano sempre più accentuato, anche con il contributo della chiesa, trasformando anche Gesù da quasi moro a un modello biondo dagli occhi azzurri.

Il Meridione aveva già sofferto nel medioevo una certa identificazione come "nero" e pericoloso (discendente da dominazioni arabo/africane/spagnole e califfati), per un tempo in disuso (colonizzazione normanna), ma in seguito alle teorie sulla "razza" del positivismo (i "criminali nati" di Cesare Lombroso e "Italia barbara" di Alfredo Niceforo) il razzismo anti-meridione si posiziona con forza.

Come ci diceva il collega Alessandro Gnocchi, in un'articolo del "Il Giornale" del 2010 (oggi forse non lo avrebbe scritto così bene).

- Il veronese Cesare Lombroso era razzista, e le sue teorie hanno avuto un ruolo decisivo nel diffondere lo stereotipo della «stirpe terrona», inferiore e quindi naturalmente lazzarona.

Ma Alfredo Niceforo era razzista, socialista e siciliano, e pur essendo discepolo di Lombroso, accanto ad appassionati richiami allo Stato sociale e alla sbandierata necessità di superare la proprietà privata, Niceforo impostava la questione meridionale in termini puramente antropologici. Il clima spossante «si è cristallizzato nei tessuti degli individui», e quindi «nel Sud ogni ornamento sociale è impossibile», spingendosi fino a ipotizzare la presenza in Italia di due razze: una euroasiatica (cioè «ariana») al Nord e una euroafricana (cioè «negroide») al Sud. Ma le sue parole sono senz'’altro più eloquenti: «La razza maledetta, che popola tutta la Sardegna, la Sicilia e il mezzogiorno d’'Italia dovrebbe essere trattata ugualmente col ferro e col fuoco - dannata alla morte come le razze inferiori dell’'Africa, dell’'Australia, ecc.». Anche Giuseppe Sergi era razzista come Niceforo. E come Niceforo era siciliano, essendo nato a Messina nel 1841. Sergi distingue tra «brachicefali» e «dolicocefali». I primi sono membri di una «razza superiore, evoluta, nordica». I secondi, col «cranio» troppo «lungo», appartengono alla «razza inferiore, degenerata, mediterranea», lo stesso cranio lungo della sacra sindone, quindi di Gesù.

Il caso più discusso è però quello di Giustino Fortunato, storico, nato a Rionero in Vulture (Basilicata) nel 1848, meridionalista acceso, uomo politico moderato e strenuo oppositore di Benito Mussolini. Anch’'egli non era immune dai pregiudizi tipici del positivismo, se proprio non vogliamo usare la parola «razzismo», come alcuni studiosi, nel suo caso, ritengono inopportuno. Nel 1904 Fortunato, di fronte al fallimento dello Stato unitario, giustificava così il ritardo del Sud: «Sospetto che essendo il grado di sviluppo fisico e morale di un popolo correlativo alle condizioni di clima e di suolo, le cause del ritardato progresso fossero particolarmente da ricercare in queste». Inoltre, a Fortunato sembrava che nella penisola convivessero «due stirpi originariamente dissimili, l’'una prevalente al Nord, l’'altra al Sud del parallelo di Roma, bionda e di statura alta la prima, bruna e di viso ovale la seconda, sottoposte a ineguale vicenda di nascita, di vita e di morte, a un diverso atteggiamento dello spirito e dell’'intelletto».
Chi fosse interessato, può ricostruire l'’intera storia dell’'anti-meridionalismo meridionale leggendo Bassa Italia (Guida editore, 2008) di Marco Demarco, direttore del Corriere del Mezzogiorno (da lì vengono le citazioni in questo articolo). Il libro mette in luce due caratteristiche complementari della classe dirigente sudista. Quando è in difficoltà si auto-assolve attribuendo la colpa al popolo: se è antropologicamente diverso, se manca di coscienza civile, che ci vuoi fare? Alla natura non c’è rimedio. Quando è in sella passa alla orgogliosa, ma acritica auto-celebrazione, come accadde all’'epoca del famoso «Rinascimento» bassoliniano, in cui Napoli assunse le sembianze irreali di una capitale meticcia e mediterranea, lontana dalle metropoli industriali del Nord per scelta e destino storico. Un bel sogno finito dritto dritto nella spazzatura. -

In ogni caso la costruzione della "bianchezza" degli italiani continuò dopo la proclamazione della Repubblica, che cercò frettolosamente di archiviare il razzismo come frutto del colonialismo fascista (che prima delle leggi razziali cantava Faccetta nera favorendo il meticciato poiché inneggiava all'unione tra razze), ma che poi determinò le leggi razziali.

Annalisa Maria Frisina, docente di sociologia generale all'università di Padova dice in un articolo della stessa università che lo stesso concetto è stato sottolineato dalle storiche Silvana Patriarca e Valeria Deplano, "nonostante l'articolo 3 della Costituzione Italiana del 1948 abbia ufficialmente bandito le discriminazioni razziali, un'idea implicitamente razziale dell'italianità ha continuato ad essere riprodotta nella Repubblica da pratiche non-istituzionali e istituzionali. Sono innumerevoli i modi in cui è stata re-affermata la "bianchezza" della nazione, legandola alla presunta omogeneità culturale e religiosa dell'Italia".

"La modernità europea si basa, sia materialmente sia culturalmente, sulla conquista e sullo sfruttamento di po­poli e di territori di altri continenti", continua la professoressa Frisina "Le rappresentazioni europee dell'alterata si sono forgiate nel razzismo e sessi­smo coloniali (Inglese, Francese, Belga, Olandese, Spagnolo e Portoghese) precursori delle ideologie e delle politiche criminali del nazifascismo. Ciò significa che il razzismo è un sistema secolare di dominio globale che gerarchizza l'umanità in grup­pi superiori (considerati "umani", legittimi conquista­tori di terre altrui, cittadini a pieno titolo e detentori di diritti ... ) e grup­pi inferiori ("sub-umani" o "non-umani", che difficilmente verranno riconosciuti come cittadini, come soggettività politiche da ascoltare e con le quali confrontarsi).

In realtà quello che stiamo vivendo in questo momento con questi ed altri episodi di razzismo, sia meridionale che di razza e che stanno aumentando di numero, ci fa capire come la violenza è un fenomeno strutturale e non episodico, anche se ne può parlare, con maggior diritto il nostro collega Gabriele Parpiglia e meno la nostra campionessa Egonu.

La professoressa Frisina dice che il motivo per cui tali episodi sono in aumento non è perché forse chi nutre sentimenti di questo tipo si sente ora legittimato a pensare e agire così perché segue l'esempio di una classe politica che difende posizioni di chiusura verso il diverso? (Anche perché, aggiungo io, lo abbiamo visto con la pandemia e la guerra, il razzismo è trasversale ultimamente) E se fosse vero, insomma, che ciò che spesso frenava le persone da compiere atti di razzismo era una "buona dose di vergogna" che adesso invece non c'è più? Possibile che sentimenti di agressivitа e di odio siano stati in qualche modo scagionati? (qui mi ripeto dalla pandemia, vaccino, green pass, guerra, Russi, Bielorussi, Ucraini, Siriani ecc..)

"Come il collega Alfredo Alietti ha sostenuto in proposito, sembra che si sia passati da una lunga fase di "non sono razzista, ma" (in cui il razzismo c'era ma veniva dissimulato) ad una in cui è possibile dire apertamente "sono razzista".

E diciamo noi "Cosa possiamo fare? Visto che le campagne di educazione civica alla cittadinanza, a livello scolastico e non, promosse da una parte politica, sono state tradite dagli stessi promotori, soci, persecutori e promotori di censura dei cittadini comuni su sanità e comunicazione. Come possiamo promuovere atteggiamenti di apertura e rispetto senza discriminazioni dopo tutto quello che è successo. Ancora una volta solo con l'etica, la cultura, la consapevolezza dell'obbiettivo, e una buona dose di buon senso che potranno aiutarci a riflettere e forse, addirittura, a salvarci.

Fonti: StrettoWeb; Università di Padova; Federica D'Auria; Corriere del Mezzogiorno; Marco DeMarco; Alessandro Gnocchi; Il Giornale.