Chi la fa, l’aspetti: il Brescia di Cellino verso il baratro, due anni dopo il funerale della Reggina

06.06.2025
Attenti a quei due
Attenti a quei due

Ma guarda un po', come il tempo sa essere giudice implacabile. Vi ricordate? Solo due anni fa, la Reggina veniva fatta sparire dal calcio professionistico, travolta da decisioni e omissioni che odoravano di ingiustizia e interessi calcolati. E chi, secondo molti, contribuì a orchestrare quell'epilogo grottesco? Proprio lui: Massimo Cellino, il presidente del Brescia. La sua squadra, retrocessa sul campo, fu "salvata" da un vuoto lasciato ad arte. Oggi, però, è il vento che gira. E gira forte.

A Brescia si consuma il rovescio della medaglia: dopo 114 anni di storia, la società lombarda è a un passo dal fallimento. Il presidente Cellino ha staccato la spina, lasciando appesi a un filo giocatori, dipendenti, tifosi e una città intera.

C'è tempo fino alle 23:59, ma le intenzioni del patron sono chiare: niente pagamento degli stipendi, niente versamenti dei contributi richiesti per l'iscrizione ai campionati professionistici. Salvo miracoli, il Brescia non ci sarà. Una fine amarissima, che arriva con l'eco di un vecchio proverbio che da Reggio a Brescia oggi risuona come una sentenza: "Chi la fa, l'aspetti."

Una scelta che pesa

Il debito è importante, ma non insormontabile: 3 milioni da saldare subito, parte di un totale da 9 milioni, con una proposta di rateizzazione in ballo. Eppure Cellino, imprenditore esperto e facoltoso, ha deciso di non investire più in una città con cui ha rotto da tempo. Il gruppo americano interessato all'acquisto non ha anticipato le somme necessarie, e lui non ha voglia – né pare più avere la forza – di ricominciare. Il Brescia, semplicemente, si spegne.

Intanto, Stefano Midolo, consigliere con potere di firma dopo le inibizioni inflitte a Cellino e al figlio Edoardo, ha rassegnato le dimissioni via PEC. Altro segnale di resa. In pratica, chi avrebbe dovuto mantenere il club in vita se ne va, e il patron sembra quasi voler chiudere il sipario con disprezzo. Lo stesso disprezzo con cui, otto anni fa, si era presentato alla stampa dicendo: "Qui vi siete abituati alla mediocrità."

Una grande storia, cancellata in un amen

Il Brescia non è una squadra qualsiasi. Ha vissuto stagioni gloriose: quattro salvezze consecutive con Baggio e Mazzone, promozioni e sogni con Corioni. Nomi illustri hanno indossato quella maglia: Pirlo, Altobelli, Luca Toni, e fuoriclasse internazionali come Guardiola e Hagi. Più di recente, Cellino ha valorizzato solo Tonali (figlio della precedente gestione) e collezionato due retrocessioni in Serie C: una sul campo, una a tavolino.

E adesso? Ora si affida a un ricorso alla Corte d'appello federale fissato per il 10 giugno. Ma è un paradosso: la richiesta arriva da un club già privo di vita sportiva, senza iscrizione e senza progetto. Un gesto tardivo, forse disperato.

Rabbia e sconcerto in città

Brescia non ci sta. Una città che eccelle in altri sport – seconda nella pallanuoto con l'AN, in finale scudetto nel basket con la Germani – si ritrova orfana del calcio proprio nel momento in cui la salvezza in B era stata conquistata sul campo. Il vuoto è pesante. E la ferita è profonda.

Un monito anche per Reggio

Per noi reggini, che abbiamo visto sparire la Reggina tra silenzi e retroscena mai chiariti, questa notizia ha un retrogusto particolare. Cellino, allora, si avvantaggiò dell'esclusione amarissima della nostra squadra. Oggi, ironia della sorte, assiste alla caduta del suo impero. Non è vendetta, certo. Ma nemmeno dimenticanza.

Saladini e Cellino hanno troppo in comune, come l'indirizzo dell'ufficio della società dei crediti, acquistati dal club Brescia tramite la Alfieri Group, per cui oggi Cellino è sotto inchiesta.

La Alfieri Group – società con sede in via Monte Napoleone 8, Milano che è anche l'indirizzo della FS84 ("F" come Felice, "S" come Saladini, classe 1984), società di punta dell'imprenditore lametino che – attraverso la controllata Enjoy srl (80 % delle quote) – ha trascinato la Reggina fuori dai ranghi professionistici con spericolate acrobazie finanziarie e Buoni del Tesoro ritenuti «carta straccia» dalla Corte d'Appello di Reggio Calabria.

Il tempo è galantuomo. E chi la fa, l'aspetti.

Andrea Ruggeri