Conclave vero o falso?

06.05.2025
Le origini del conclave: quando il popolo prese a martellate il tetto della Chiesa

Era il 1268. Dopo la morte di Clemente IV, la Chiesa restò senza guida per quasi tre anni: 1006 giorni di discussioni accese tra cardinali riuniti a Viterbo. L'aria era densa di scontro politico – tra guelfi e ghibellini, tra interessi francesi e italiani. E l'elezione non arrivava. Il popolo, stanco dell'attesa e della paralisi, chiuse letteralmente i cardinali a chiave (cum clave) nel Palazzo dei Papi. Non solo: tagliò i pasti, scoperchiò il tetto, li privò del lusso e del conforto. Era la prima vera forma di conclave, forzata dalla base, dal basso, da chi voleva che la Chiesa smettesse di guardarsi allo specchio e riprendesse il cammino.

Da quella pressione nacque, nel 1274, la costituzione Ubi Periculum di Papa Gregorio X: regole ferree, clausura obbligatoria, e tempi certi. Per evitare che lo Spirito Santo dovesse passare troppi giorni in attesa davanti alla porta.

2013: la Declaratio di Benedetto XVI, la lingua latina e l'ambiguità mai sanata

Saltiamo sette secoli. Il 2013 segna una frattura storica. Papa Benedetto XVI, teologo raffinato, uomo introverso e cosciente dei limiti dell'istituzione, annuncia in latino la sua rinuncia al papato. Ma le parole scelte – in particolare ministerium e non munus – non convincono tutti. Il diritto canonico (can. 332 §2) parla chiaramente di rinuncia al munus petrinum, cioè alla carica divina, non solo all'esercizio pratico del ruolo.

Il testo latino della Declaratio afferma:

declaro me ministerio... renuntiare

Ma non si legge da nessuna parte:

renuntio muneri meo episcopi Romae

Per alcuni teologi e canonisti critici, questa distinzione non è un dettaglio, ma una falla sostanziale. Rinunciare all'ufficio senza rinunciare alla missione sacrale è come abbandonare il trono ma tenersi la corona.

Il Papa emerito, la tunica bianca e il silenzio rumoroso

A rafforzare i dubbi è arrivata la scelta – inedita e controversa – di Benedetto XVI di continuare a vestirsi di bianco, risiedere in Vaticano, firmarsi "Papa emerito", e soprattutto di non riprendere il suo nome civile (Joseph Ratzinger). Questo ha alimentato la percezione di una "diarchia papale", anche se formalmente respinta.

Un'abdicazione che lascia visibilmente aperti i simboli della papalità: abito, firma, titolo. Se fosse stato davvero un semplice "ritiro", perché tenere quegli elementi? Perché parlare – come ha fatto lo stesso Ratzinger – di "dimissioni spirituali" ma permanenza "nel recinto di Pietro"?

Francesco è legittimo? Le due Chiese che si guardano di traverso

Secondo il diritto vigente, la rinuncia è valida se fatta liberamente e debitamente manifestata. Questo dice il Codice. Ma il diritto non è una matematica senza semantica. Se la Declaratio è viziata nel contenuto, la rinuncia potrebbe essere invalida, e dunque l'elezione di Francesco, priva di fondamento.

C'è chi sostiene apertamente questa tesi: alcuni teologi, giornalisti come Antonio Socci, sacerdoti scomunicati come Don Minutella. Il cosiddetto fronte benevacantista, che ritiene che Benedetto XVI non abbia mai realmente rinunciato al papato, e che Francesco sia un "usurpatore canonico".

Un'accusa grave, certo. Ma non senza basi da approfondire. E soprattutto, senza una risposta ufficiale definitiva da parte della Santa Sede che non sia il semplice "tutto è stato fatto correttamente".

I cardinali di Francesco: validi o irregolari?

Un'ulteriore conseguenza: se Francesco non è Papa legittimo, allora i cardinali da lui nominati non lo sono, e quindi non avrebbero diritto di voto nel prossimo conclave. Le modifiche stesse introdotte da Francesco alle procedure del conclave (numero massimo, criteri, modalità) sarebbero giuridicamente nulle.

Siamo di fronte, secondo alcuni, al rischio di un conclave "contaminato": cioè formato da figure non legittimate che eleggerebbero un Papa a sua volta non legittimo. Una catena di successione viziata, come un albero genealogico truccato.

Conclusione: chi ha le chiavi oggi?

Il Conclave nacque come risposta popolare alla paralisi del potere ecclesiastico. Oggi, la Chiesa vive una nuova forma di paralisi, fatta di ambiguità dottrinali, scontri interpretativi, e silenzi che sembrano omissioni.

La questione del munus non è solo per teologi da biblioteca: riguarda la credibilità stessa della guida spirituale della Chiesa. E se davvero ci fosse stato un errore (o peggio, un inganno), le implicazioni sarebbero dirompenti.

È giunto il tempo di scoperchiare, ancora una volta, il tetto. Non per fame, ma per chiarezza.

Masaniello Pasquino