Crociata contro il vino e i cibi tipici, perché?

La crociata contro il vino e i cibi tipici: paura sanitaria o abuso di potere?
Per noi è chiaramente un eccesso di Stato, anzi un vero e proprio attacco alla nostra dieta mediterranea, sia nella sua versione "buona" che in quella considerata "meno buona". Gli eccessi fanno male in qualunque ambito e con qualunque alimento, ma le normative europee non colpiscono ciò che realmente genera danni – colpiscono ciò che loro decidono essere dannoso.
Non gli eccessi di zuccheri onnipresenti nell'alimentazione e nelle bibite di altri Paesi, ma i nostri prodotti, le nostre tradizioni.
Nel continuo susseguirsi di normative europee, linee guida sanitarie e accuse di ingegneria sociale, il tema dell'alimentazione sta diventando centrale nel dibattito pubblico. Non finiscono nel mirino solo i cibi ultraprocessati, ma anche prodotti artigianali profondamente radicati nella tradizione italiana: formaggi tipici, insaccati, vino. Tutto rischia di essere trattato come se fosse un pericolo sanitario da contenere.
Lo hanno sottolineato anche Boni Castellane e Pietro Paganini analizzando la questione. Un recente documento europeo sul piano cardiovascolare avrebbe equiparato zuccheri e grassi al tabacco, includendo di fatto anche il vino nel novero delle sostanze da trattare come sigarette o droghe. Una deriva moralizzatrice, più ideologica che scientifica.
L'obesità, pur essendo un problema sociale e sanitario reale, diventa così il pretesto per un intervento sempre più invasivo dello Stato nei comportamenti individuali. Si cita l'esempio del Regno Unito, dove tasse e sanzioni colpiscono le aziende che non adeguano i prodotti ai limiti imposti: una forma di ingegneria sociale che, secondo i critici, sposta la responsabilità dalle persone alle imprese, senza affrontare le cause autentiche del problema.
A questo si aggiunge il "rumore di fondo" mediatico: mantenere alta l'attenzione su cibo, vino o persino sulle misure delle vongole serve a preparare l'opinione pubblica a future tasse o restrizioni. Non si tratta di tutela della salute, ma di strategie di consenso e ampliamento del prelievo fiscale.
La critica più ampia riguarda però la natura stessa dello Stato contemporaneo, definito un "leviatano": un potere che non tollera spazi non regolamentati e tende a estendere il proprio controllo su ogni cosa. A sostegno di questa tesi viene riportata la condanna, nel Regno Unito, di un uomo a venti mesi di carcere per un post sui social: un segnale inquietante di deriva autoritaria.
Di fronte a tutto questo, l'appello alla libertà diventa inevitabile. Lo Stato dovrebbe informare, non imporre. Educare su porzioni, frequenze e varietà, invece di tassare cibi, abitudini culturali o perfino servizi come Netflix o l'uso degli ascensori. È un invito a un potere pubblico più piccolo e più limitato, una posizione che oggi, paradossalmente, sembra rivoluzionaria.
Djàvlon
Fonte: Radio Radio
Ps. "per non morire è solo non nascere"
