Famiglia del Bosco: Giustizia o Abuso di Potere?

22.11.2025

La vicenda della famiglia del bosco di Palmoli – madre, padre e tre bambini che vivono in una casa immersa nella natura, senza elettricità, gas o acqua corrente – è diventata in poche ore un caso inquietante, dopo la decisione di sottrarre la tutela dei minori ai genitori.
Una decisione, va detto, arrivata in modo improvviso e traumatico.

«Hanno disposto l'allontanamento dei minori», racconta l'avvocato della famiglia, Giovanni Angelucci. «I bambini sono stati portati in una casa accoglienza a Vasto, dove sono riuscito a far entrare anche la madre. Gli assistenti sociali sono arrivati con un vero e proprio esercito: una ventina di carabinieri, in uniforme e in borghese».
Il legale parla apertamente di ricostruzioni piene di falsità e annuncia ricorso immediato.

E allora una domanda sorge spontanea: perché tanta durezza, perché questa violenza istituzionale contro una famiglia che ha scelto uno stile di vita diverso?
Vivono fuori dai circuiti del consumismo? Non si adeguano al modello educativo standardizzato? Non rientrano nei parametri di chi crede che un bambino sia "corretto" solo se cresce davanti a uno schermo, a un smartphone, dentro una città, sotto mille regole che nulla hanno a che fare con la natura dell'infanzia?

Il punto è semplice: il luogo migliore per un bambino, salvo casi estremi e provati, è con i suoi genitori. L'educazione spetta a loro, non a un giudice, non a un funzionario, non a un sistema che troppo spesso interviene dove non serve e tace dove servirebbe.

Ci si chiede dove fossero la stessa solerzia e lo stesso zelo quando si gridava al panico durante la pandemia, quando decisioni discutibili hanno chiuso in casa milioni di persone senza reale fondamento; quando si imponevano misure poi rivelatesi inutili o addirittura dannose.
Dov'erano quando c'era da perseguire davvero chi delinque ogni giorno, chi deruba, chi violenta, chi distrugge la convivenza civile?

È più facile intervenire contro una famiglia che vive tra i boschi, educando i figli alla semplicità, che affrontare il degrado vero.
È più facile colpire chi è diverso, non chi è pericoloso.

Io spero che qualcuno si svegli, che si riporti equilibrio, che chi ha preso decisioni sproporzionate risponda delle proprie responsabilità.
Perché la vera paura è un'altra: che di fronte a soprusi così gravi verso i minori e verso le famiglie, un giorno la gente smetta di credere nella giustizia e inizi a reagire da sola. E questo sì, sarebbe il fallimento totale dello Stato.

Djàvlon

Ps. C'è una cosa che davvero non riesco a comprendere. In Italia — con l'appoggio diretto di politici e istituzioni — arrivano persone che, quasi immediatamente, finiscono in situazioni di povertà estrema, droga, violenza e degrado. E questo sembra non scuotere nessuno. Lo Stato, ma principalmente gli stessi poteri che li hanno portati in Italia, osservano, registrano, talvolta fingono di intervenire, ma lasciano che intere realtà cadano in un abisso sociale senza fine.

Poi però succede il contrario:
si tolgono i bambini a una famiglia arrivata dall'estero da un paese democratico (?) che sceglie volontariamente di vivere senza consumismo, come l'umanità ha fatto per oltre 20.000 anni. Una scelta radicale, certo, ma non criminale. Una scelta diversa, ma non pericolosa. Una scelta che, anzi, dovrebbe far parte della libertà individuale garantita da una democrazia.

E allora la domanda, per quanto provocatoria, diventa inevitabile:
forse sarebbe stato considerato "migliore" se quei bambini fossero cresciuti da genitori assassini, purché pagassero il canone TV?

Perché questo è il paradosso:
lo Stato e il popolino, sembrano tollerare tutto, tranne chi vive in modo libero, sobrio e non allineato al modello consumistico dominante.

Mi viene voglia di sputare in faccia a qualcuno, ma se lo dico, a chi, mi mettono in cella e poi mi eliminano come hanno già fatto quando ancora ero solo Masaniello. Ora che sono anche Pasquino la testa preferisco tenermela attaccata alle spalle, non farla consegnare al viceré come prova della mia morte (come nella storia di Masaniello).

Masaniello Pasquino