In nome del popolo italiano

Ma le sentenze sono proprio a nome vostro, mio, tuo, insomma di noi italiani.
Le sentenze vengono emesse a nome nostro, … insomma, di tutti noi italiani. Eppure, sempre più spesso, vediamo condanne inflitte a innocenti, sentenze condizionate non dalle prove, ma da fatti e personaggi esterni, e allora la sentenza io preferisco non mi sia attribuita.
Il caso di Garlasco non è e non sarà l'ultimo. Una volta dire "sono un giudice" era un titolo che incuteva rispetto; oggi, per molti, è meglio non sbandierarlo nemmeno a cena. Il prestigio si è incrinato, e non poco.
Esistono, però, le eccezioni. Napoleone, il PM che sta guidando la nuova inchiesta su Garlasco, sembra essere una di queste rare eccezioni. Questa seconda indagine è forse la più temuta di sempre, non perché sia ingiusta o inquietante, ma perché mette davanti a una verità scomoda: nella prima inchiesta furono commessi troppi "errori" — e non sembrano affatto casuali. Parliamo di scelte prese in cattiva fede, di forzature, di piste volutamente ignorate. Ecco perché fa paura: rischia di smascherare un intero impianto costruito sull'ingiustizia.
Spero che il caso Chiara Poggi resti nella storia come il momento in cui, per la prima volta, un magistrato non ha voltato la testa dall'altra parte, ma ha avuto il coraggio di sfidare i propri colleghi pur di cercare la verità e la giustizia.
Qualcuno può anche obiettare che parlare di "errore giudiziario" sia improprio: un errore si fa in buona fede, cercando di fare la cosa giusta. Qui, invece, c'è stata l'evidente intenzione di mettere a tacere la verità, sacrificando un innocente e negandogli persino i mezzi per difendersi. E tutto questo, francamente, mi fa paura.
Sullo sciacallaggio mediatico preferisco tacere, perché rischierei di essere volgare.
I processi, la semilibertà e la nuova inchiesta
Dopo cinque gradi di giudizio, Alberto Stasi fu assolto in primo grado (2009) e in appello (2011), ma la Cassazione annullò la sentenza nel 2013 e ordinò un nuovo processo. Nel secondo appello (2014) fu condannato a 24 anni per omicidio volontario, pena poi ridotta a 16 anni col rito abbreviato e confermata nel 2015.
Detenuto dal gennaio 2015, dal 28 aprile 2025 gode della semilibertà prevista dall'art. 48 dell'Ordinamento Penitenziario: esce ogni giorno dal carcere di Bollate per lavorare o formarsi e rientra la sera.
Il caso è stato riaperto dalla Procura di Pavia, che sta analizzando nuove tracce genetiche rinvenute sulla scena del crimine: al momento l'unico indagato è Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. L'ipotesi di una revisione e di un eventuale scagionamento di Stasi resta incerta.
Secondo l'avvocato Antonio De Rensis, la priorità è osservare l'indagine senza dare per scontata la revisione; per l'avvocato Giandomenico Caiazza, riaprire un processo chiuso richiede elementi nuovi e solidi. Un'eventuale assoluzione, dopo anni di detenzione, sarebbe «un errore giudiziario di quelli che sconfessano completamente lo Stato», forse persino più grave del caso Tortora.
Andrea Ruggeri