La gru della Giustizia
L'Italia e Reggio Calabria, hanno in comune alcune cose.
Quando si vuole mettere in risalto qualcosa, che poi rimane nel progetto si spendono centinaia di articoli e fiumi di inchiostro e mesi sulle tastiere dei computer, anche se poi nessun risultato ne viene fuori, ma quando si deve lottare a fianco di un'ingiustizia, due righe qualche nota ripetuta, alcune volte scopiazzata da altri e via.
Tutti si spaventano di difendere gli altri.
Potrei giustificare quei colleghi che sanno dove può arrivare la mano pesante degli ingiusti, ma spero che capiscano quanto alcune volte è difficile, per alcuni, superare questi momenti e ci seguano in una crociata per il bene, senza condannare gli sforzi e le bellissime azioni contro la malavita e la mafia, ma giustificando quegli sforzi riparando gli errori, che in una guerra così cruenta possono avvenire.
Ed ecco un caso che noi abbiamo deciso di prenderci a cuore, quello di Francesco Gregorio Quattrone.
Non lo conoscete? Bene leggete e imparate a conoscerlo.
Lo Conoscete? Ottimo allora vediamo se le vostre e nostre informazioni coincidono, e se riusciamo a dare giustizia, a Lui ma di riflesso a tutte quelle persone ingiustamente penalizzate anche e soprattutto dopo essere state assolte in processi, chiamati ERRORI GIUDIZIARI.
Vi ricorderete di Enzo Tortora ... il PADRE di tutti questi processi.
Francesco Quattrone è un imprenditore di Gallina, quartiere di Reggio Calabria, del ramo della ristorazione, grande e piccola che comprende anche banchetti, battesimi, matrimoni, era un imprenditore di successo.
"Tutto inizia dopo un banchetto al mio ristorante", - chi ce lo racconta è Lui mentre appeso alla Gru davanti al Tribunale da 4 giorni protesta esattamente chiedendo giustizia - "quel giorno mi sono avviato verso, casa a piedi, erano circa le 18:00, e stavo entrando a casa che dista 100 metri dal ristorante, mi fermano 4 o 5 cinque persone interessate a un battesimo, sono sulla porta di casa e li faccio accomodare in cucina, non si parla di queste cose sulla strada e chiamo la segretaria per vedere date e disponibilità, ma in pochi minuti arrivano alcune persone che si qualificano come agenti della questura, mi hanno diviso dai signori del battesimo e mi hanno portato in questura", - Francesco ci tiene ai dettagli e - "dopo tutti i loro accertamenti, durati alcune ore mi hanno lasciato, ricordo che erano le ore 23:00" - continua Quattrone - "ero stanco, ma non ero preoccupato, alla fine se qualcuno di quei signori aveva qualche problema con la giustizia io non centravo niente e quindi mi sono limitato ad acconsentire senza preoccuparmi troppo, alla fine i poliziotti facevano il loro lavoro", - ma in realtà comincia quel giorno l'inganno.
"Durante uno dei processi dove sono stato assolto, non ricordo di preciso l'anno, ma i miei avvocati se lo ricordano con certezza, dicevo ... in un verbale c'è la descrizione di due individui, intercettati fuori dalle loro auto, e nei loro discorsi uno diceva, < ma a Franco l'hanno cacciato dal locale a gallina > e l'altro < forse c'e' suo cugino o suo cognato >, e gli inquirenti hanno pensato a me, anche se dal 1985 al 2012 sono sempre stato io a dirigere il locale, quindi con certezza non ero io, .... ma la stessa cosa non la pensava chi stava facendo le indagini.
"Tra le altre cose nel processo, mi accusarono anche di avere appeso al muro del locale un bastone, detto del capo bastone, ma in realtà io collezionavo varie cose tra queste anche i bastoni e quel legno faceva parte della collezione non certo di un bastone di comando, o altro"
A ben guardare, i fatti dai quali era stata dedotta la pericolosità sociale di Francesco (motivo del sequestro dei suoi beni) il suo fermo con presunti appartenenti mafiosi e i legni affissi al muro, all'esito del compiuto accertamento penale, non reggevano le accuse di pericolosità, quindi di sequestro a scopo preventivo, che poi viene completata dal giudizio finale dei processi, e l'assoluzione penale.
"Ma guardi, io sono stato arrestato a casa alle 3 di notte, portato via come un malvivente, e avevo un piede rotto e fasciato, era menomato, ma venni trasportato in carcere accusato di appartenere alla mafia". - mettetevi nei suoi panni per un momento. Un innocente accusato di una cosa gravissima, a Reggio Calabria, zoppo, stanco, affranto e buttato in una cella.
Ma quanti di voi hanno avuto un qualsiasi contatto con un accusato o addirittura condannato a Reggio Calabria o in qualsiasi altra parte del mondo? Direi quasi tutti quelli che frequentano locali pubblici, io stesso compravo il pane da uno che poi è finito in carcere, andavo a scuola con un ragazzo che divenne un pericoloso assassino e morì in un'esplosione e tutti i giorni frequento eventi in locali e pasticcerie dove potrei incontrare persone che delinquono, senza saperlo, ma da li a farne parte o anche solo condividerne le azioni, mai.
Eppure Francesco Gregorio Quattrone quella notte fu arrestato, finì in carcere con un piede fratturato, che per colpa di quell'azione dovette essere fratturato nuovamente lasciandolo quasi zoppo.
Ma non è solo questo: il suo nome quei giorni va sui tutti i giornali di stampo giustizialista, che vivono di cronaca e arresti, dei quali, molti non rispettano il fatto che quelle persone possono essere innocenti.
Noi no, gli errori come quello di Tortora o di Quattrone, non li vogliamo sulla coscienza. Alla fine, perché esiste la giustizia? Ed i giudici? Esistono per verificare se realmente sei un delinquente o una persona onesta, e se risulti onesto devono ridarti la vita che avevi, un risarcimento e anche così, niente potrà ripagare l'umiliazione subita.
Un giorno un noto magistrato scoparso disse: "Essere scagionato per non appartenere alla malavita, con assoluzione in formula piena, ti da un salvacondotto di purezza, che neanche le persone comuni hanno, perché loro dal tormento di un processo, con avvocati lì solo per accusare, non ci sono passati".
Eppure Francesco è stato inserito in tre processi, assolto in formula piena in tutti, ma tutti i suoi beni confiscati a quel tempo, non sono stati devoluti, e neanche il giusto indennizzo.
Certo il suo nome è finito sulle prime pagine come un mafioso, e mafioso non era. La sua foto su quel giornale lo additava come una persona da starci lontano. La sua famiglia quella di un mafioso, figuriamoci poi che tipo di aiuto, appoggio o solidarietà una persona in queste condizioni può chiedere o ricevere.
Un giorno sei un imprenditore, costruendo il tuo patrimonio con il lavoro tuo e dei tuoi genitori, moglie, figli e il giorno dopo non hai più niente e sei additato come un mafioso.
E torniamo all'inizio di questo escusso, Francesco Quattrone, viene assolto da tutto, ma i suoi locali, i suoi beni che valgono lo sforzo della vita dei suoi genitori, di Lui moglie e figli, quelli non li vede più.
E da 4 giorni su una gru a circa 30/40 metri d'altura, per l'ennesima volta chiede GIUSTIZIA.
Oggi fa più freddo di ieri e lassù è anche peggio, "ma voglio giustizia", mi dice.
Noi siamo riusciti a parlargli in tutti questi giorni, ha con se un cellulare e un caricatore solare, è sereno, ma deciso, da troppo tempo l'INGIUSTIZIA della GIUSTIZIA, lo prende in giro, e qui non colpo i giudici in se, anche se una mano sulla coscienza se la devono mettere. Colpo lo Stato Italiano, il governo che ha fatto una legge antidemocratica, che permette a persone pulite di aver la loro vita distrutta. In alcuni casi come recentemente in Sicilia addirittura arricchendo giudici e gestori dei beni di questi innocenti.
All'attuale capo di governo poi dico di modificare immediatamente, questa vergogna.
Intanto Francesco continua sulla gru, la Gru della Giustizia, e noi lo seguiremo sino a quando potremo pubblicare, finalmente, che ha avuto quella "giustizia piena", anche se il marchio infamante rimane sempre sulla bocca degli stolti, come per Enzo Tortora e centinaia di innocenti.
Ridate a Lui e alla sua famiglia i suoi beni e il sudore di una vita, è il minimo che lo Stato Italiano possa fare.
Andrea Ruggeri