La reazione dell'Assessore Burrone è insostenibile: Reggio Calabria merita un "mea culpa", non accuse di complotto politico.

L'indignazione sollevata dall'Assessore all'Ambiente di Reggio Calabria, Filippo Burrone, contro la presunta "parzialità" dei report di Legambiente e Ambiente Italia non può che suscitare ilarità. Mettere in discussione l'autorevolezza di tali enti e di indicatori nazionali come quelli de Il Sole 24 Ore, peraltro spesso orientati su posizioni non avverse all'attuale Amministrazione, risulta un esercizio di negazione della realtà ormai stucchevole.
Il fatto che Reggio Calabria sprofondi costantemente all'ultimo posto nelle classifiche nazionali di qualità ambientale e urbana non può essere sistematicamente liquidato come un "attacco politico". Quando l'80% degli osservatori indipendenti giunge alla medesima conclusione, l'unica risposta accettabile non è la critica al messaggero, ma il "mea culpa" e l'impegno concreto.
Invece di ascoltare promesse di un futuro migliore — come la raccolta dei rifiuti, la potatura delle piante, l'aggiustamento delle strade e la pulizia di marciapiedi ormai "fossilizzati" dalla sporcizia — l'Assessore si rifugia in giustificazioni: critica i report, cita progetti inutili o inesistenti, minimizza l'impatto di piccole iniziative o, peggio ancora, punta il dito contro l'ARPACAL, trasformando un problema strutturale in un capro espiatorio.
È vero, la bellezza dei panorami reggini, il Corso Garibaldi e la Via Marina sono un dono. Ma se da oltre un decennio la gestione amministrativa e ambientale è percepita come fallimentare, l'Assessore Burrone dovrebbe chiedersi a chi va imputata tale responsabilità.
Sarebbe più saggio e onesto abbandonare la retorica del vittimismo politico. L'Amministrazione ha tempo per dimostrare una svolta. In caso contrario, è l'Assessore stesso che rischia di finire in quel "burrone" politico alle prossime elezioni.
Masaniello Pasquino