Mattarella, discorso sui media indipendenti, ignaro dei fatti

07.08.2025

Le bugie hanno le gambe corte, specie quando la verità comincia ad emergere anche nei Paesi dove la narrazione ufficiale sembrava intoccabile. Negli Stati Uniti, ad esempio, si stanno finalmente svelando i contorni della falsa pandemia, della manipolazione dell'emergenza sanitaria e del gigantesco business costruito attorno a vaccini sperimentali e misure liberticide.

Ma in Europa, e in Italia in particolare, l'unica vera emergenza sembra essere quella di zittire il dissenso, silenziare i media indipendenti e marginalizzare chiunque osi porre domande. Il giornalismo è diventato selettivo, compiacente, spesso organico al potere economico e politico, e non certo uno strumento libero di informazione.

Il Presidente Mattarella, nel suo recente discorso alla Cerimonia del Ventaglio, ha pronunciato parole che, sulla carta, potrebbero anche essere condivisibili. Ha parlato del valore dell'informazione indipendente, della forza dei fatti, e ha affermato che "la libertà di menzogna non è tra quelle rivendicabili". Parole importanti, certo. Ma chi stabilisce oggi cosa è verità e cosa è menzogna? Chi ha l'arroganza di decidere, in un sistema profondamente viziato da conflitti di interesse, quale sia l'unica narrazione accettabile?

Non certo quei gruppi editoriali e politici che gestiscono al contempo l'informazione pubblica e privata, le campagne vaccinali, i flussi di denaro collegati all'industria bellica, al business delle batterie elettriche, alle speculazioni sul clima e alle nuove tecnologie digitali. Non chi riceve fondi da Big Pharma o da multinazionali legate a precisi interessi geopolitici.

Mattarella ha difeso il pluralismo, ma ha anche mostrato un'evidente ambiguità: da un lato celebra la stampa libera come pilastro della democrazia, dall'altro tace su ciò che oggi la mette realmente in pericolo. Tace sulla censura sistematica delle voci critiche, sull'uso strumentale dei "fact checker" che sono spesso giudici e parti in causa, e sulla paralisi istituzionale che ha permesso il consolidarsi di un sistema informativo opaco, selettivo e orientato ideologicamente.

E ora arriva anche il regolamento europeo sulla libertà dei media — in vigore dall'8 agosto — che promette di difendere l'indipendenza editoriale e la trasparenza delle piattaforme digitali. Ma nella realtà, è solo una nuova architettura di controllo, creata per rafforzare i monopoli dell'informazione, legittimare la censura e normalizzare il pensiero unico.

Il Digital Services Act, nato teoricamente per proteggere gli utenti, rischia di diventare un'arma in mano a chi vuole silenziare il dissenso, rendendo illegittima ogni voce non allineata alla narrativa dominante. Gli stessi "guardiani della verità" che decidono cosa si può dire e cosa no, possiedono testate concorrenti, collaborano con enti finanziati da governi e lobby, e operano senza reale controllo democratico.

E Mattarella, nel suo ruolo, non può non sapere tutto questo. Il suo richiamo ai valori costituzionali e all'etica giornalistica suona, in questo contesto, come un discorso vuoto, un appello formale privo di coraggio, che finge di difendere la verità mentre lascia impuniti coloro che oggi la manipolano.

Il vero rischio per la libertà non viene dalle "fake news", ma dalla verità filtrata, distorta o selezionata per convenienza. Viene dalla repressione di ogni voce alternativa, dall'esclusione sistematica di esperti, giornalisti, ricercatori e cittadini che non si piegano alla narrazione ufficiale.

Se davvero vogliamo una stampa libera, allora cominciamo col denunciare i conflitti di interesse, la censura algoritmica, il controllo delle notizie da parte dei padroni del vapore e il silenzio colpevole delle istituzioni.

I discorsi eleganti non bastano più. È ora di dire chiaramente che la libertà di stampa, in Italia e in Europa, è sotto attacco — non da parte dei cittadini critici o dei giornalisti scomodi, ma da chi ha tutto l'interesse a mantenere un'informazione addomesticata, protetta e funzionale.

Il Presidente della Repubblica, in Italia, non è eletto direttamente dal popolo. Eppure ricopre la più alta carica dello Stato, con il dovere – sacrosanto – di essere il garante della Costituzione e dei diritti fondamentali dei cittadini italiani.

Ma se chi ricopre questo ruolo non difende quei diritti, o li applica in modo parziale, ideologico o accomodante, allora è legittimo chiedersi: chi controlla il controllore? Chi vigila su chi dovrebbe garantire la Costituzione?

Premiare personaggi come Roberto Burioni – che negli Stati Uniti rischierebbe un processo per le sue affermazioni categoriche e il suo ruolo nella gestione della pandemia – non è affatto un gesto neutrale. È una presa di posizione chiara, sbilanciata, lontana dalla ricerca di verità e giustizia che migliaia di famiglie italiane continuano a chiedere.

Perché i nostri genitori sono morti? Di cosa sono morti davvero?
Perché i cosiddetti vaccini non hanno avuto l'efficacia promessa? Perché siamo stati rinchiusi come conigli, senza possibilità di esprimere dubbi, senza confronto scientifico aperto, senza che nessuno si assumesse responsabilità chiare?

Basta con le filastrocche istituzionali e con la retorica vuota. Gli italiani non sono tutti codardi: sempre più persone vogliono sapere la verità. E la vogliono tutta.

E la verità, oggi, non arriverà dai vertici istituzionali che premiano chi ha alimentato una sola narrazione. La verità verrà solo da quei giornalisti liberi e coraggiosi, da quei professionisti indipendenti che non temono di fare domande scomode, che osano mettere in discussione ciò che è stato venduto come "scienza" ma era, in realtà, gestione del potere, profitto e controllo sociale.

Senza verità, non ci sarà giustizia. E senza giustizia, la fiducia nelle istituzioni sarà distrutta per generazioni.

Djàvlon