Minore accusa genitori e giustizia accusa la Meloni

29.01.2025

L'opinione

Negli ultimi giorni, ha destato scalpore la vicenda di una tredicenne che, in seguito alla decisione del padre di disattivarle l'accesso a internet, ha denunciato i genitori per maltrattamenti. L'episodio, accaduto nel nord Barese, ha innescato un iter giudiziario con l'intervento di forze dell'ordine, servizi sociali e neuropsichiatria infantile. La procura di Trani ha avviato un'indagine, coordinata dal pm Lucio Vaira, e la vicenda è arrivata davanti al gip Marina Chiddo.

Ciò che colpisce, però, non è tanto la reazione impulsiva della giovane, quanto il rischio di emulazione che potrebbe derivarne. Viviamo in un'epoca in cui la giustizia appare più incline a identificare colpevoli che a comprendere le motivazioni sociali e familiari dei comportamenti giovanili. Il sistema, supino a una modernità che spesso si traduce in una cieca adesione alle dinamiche dei social network e dei gossip adolescenziali, sembra incapace di offrire risposte adeguate per il recupero di questi giovani.

Secondo gli specialisti coinvolti nell'analisi del caso, la ragazza manifestava una forte dipendenza dal cellulare, arrivando a trascorrere fino a dieci ore al giorno online. Questo abuso della tecnologia avrebbe inciso negativamente sul rendimento scolastico, portando i genitori a intervenire con misure disciplinari, tra cui la revoca dell'accesso a internet (al mio tempo sarebbero state cinghiate, e una settimana di castigo). La stessa tredicenne, durante un incidente probatorio, avrebbe ammesso che la perdita di tempo al telefono era la conseguenza delle sue scarse prestazioni scolastiche.

Ma il problema si estende ben oltre questo singolo episodio. Troppo spesso, gli specialisti chiamati a valutare casi di questo tipo risultano influenzati da ideologie progressiste (vedi Bibbiano) che tendono a sovvertire il concetto stesso di autorità genitoriale. Si rischia di delegittimare il ruolo educativo della famiglia in nome di un presunto diritto alla libertà individuale, anche quando questa si traduce in dipendenze digitali o comportamenti autodistruttivi.

Un genitore che impone regole e disciplina non dovrebbe essere criminalizzato, bensì riconosciuto per il suo ruolo essenziale nella crescita e nell'educazione dei figli. Eppure, in un contesto sociale "un mondo al contrario"come direbbe qualcuno, dove le istituzioni sembrano sempre più orientate a proteggere i minori anche da una sana autorità familiare, episodi come questo finiscono per generare paradossi inquietanti.

Il caso della tredicenne del nord Barese non è solo un fatto di cronaca, ma il simbolo di un sistema che spesso interviene senza una reale comprensione delle dinamiche familiari, con il rischio di minare il rapporto tra genitori e figli. In un Paese dove alcuni giudici, non proprio felici sulla modifica ei loro poteri, si permettono di indagare figure di spicco della politica con modalità discutibili, e allora appare chiaro come il concetto di giustizia sia sempre più distorto.

Tuttavia, esistono ancora professionisti consapevoli dell'importanza di un equilibrio tra protezione e autorità genitoriale. È necessario ripensare il sistema di tutela dei minori affinché non si trasformi in uno strumento di eccessiva ingerenza nelle famiglie, ma garantisca un supporto reale per il loro benessere e sviluppo.

Se vogliamo costruire una società solida, dobbiamo difendere i valori educativi fondamentali e riconoscere che, in molti casi, i veri eroi sono proprio quei genitori che, nel caos della modernità digitale, cercano ancora di insegnare ai propri figli il valore del limite e della responsabilità.

Infine, non si può ignorare il contesto politico più ampio in cui si inserisce questa vicenda. Il caso della tredicenne riflette una deriva giudiziaria che si manifesta anche nei confronti delle più alte cariche dello Stato. Non è un mistero che la presidente del Consiglio sia stata oggetto di un'attenzione giudiziaria che, in molti casi, sembra avere più connotazioni politiche che giuridiche. In un Paese dove alcuni giudici paiono orientati più a contrastare chi governa che a garantire una giustizia equa, si rafforza l'impressione di un sistema che spesso perde di vista la sua vera missione: proteggere i cittadini senza interferire con il loro diritto di autodeterminazione, sia a livello familiare che politico. 

Serve un riequilibrio, affinché la giustizia non diventi strumento di battaglie ideologiche, ma torni a essere un pilastro imparziale della democrazia.

Per alcuni la riforma giudiziaria con separazione delle carriere è il provvedimento ideale, per altri no, ma l'accanimento giudiziario su chi vuole il cambiamento e quindi l'equilibrio dei poteri, pensatela come volete, giustifica il provvedimento del governo.

Djàvlon