Tra un Negroni e un Fenice 78

Il Negroni è più di un semplice cocktail: è una sinfonia di sapori, un pezzo di storia italiana e una testimonianza vivente dell'arte della mixology. Questa miscela iconica, con il suo perfetto equilibrio di amarezza, dolcezza e note botaniche, ha conquistato il cuore dei bevitori di tutto il mondo. Qui ne ripercorriamo la storia, sveliamo alcune curiosità, ricordiamo la ricetta classica e suggeriamo abbinamenti deliziosi.
Ha da poco compiuto cent'anni, ma è più in forma – e più trendy – che mai. Il Negroni, simbolo della miscelazione italiana, è oggi il cocktail più bevuto al mondo. A ricostruirne la storia è stato qualche anno fa il bar manager e studioso fiorentino Luca Picchi, che – dopo lunghe ricerche tra archivi, vecchi registri e persino cimiteri – ha pubblicato il libro Negroni cocktail, una leggenda italiana (Giunti Editore).
Tutto iniziò intorno al 1919, alla Drogheria Casoni di via Tornabuoni a Firenze, quando il conte Camillo Negroni chiese al banconista Fosco Scarselli di "rinforzare" il suo Americano (a base di Campari, vermouth rosso e seltz) sostituendo il seltz con il gin. Il conte, appartenente a una nobile famiglia fiorentina, era un uomo di mondo: nei suoi viaggi, soprattutto a Londra e in America, aveva imparato ad apprezzare il gin e i cocktail che lo contenevano. Tornato in patria, il "solito" Americano dovette sembrargli un po' troppo leggero. Così nacque il Negroni. Si racconta che ne fosse così entusiasta da berne anche trenta al giorno — ma va detto che all'epoca il drink veniva servito in piccoli calici, freddo ma senza ghiaccio.
Oggi, a Reggio Calabria, il migliore lo prepara Andrea De Stefano di Denavino.
Ma poi… sarà davvero stato il conte a inventarlo? O forse un ragazzo qualsiasi, come Andrea, o magari un diciassettenne sulla riviera romagnola, ci era arrivato prima?
Noi giornalisti lo sappiamo bene: spesso le storie vengono dorate, impreziosite da titoli e blasoni. La gente ama i "padroni" e si entusiasma se dietro a un'invenzione c'è un nobile. Ne so qualcosa io, che un giorno, lanciando a Milano Marittima – prima all'Hotel Ridolfi e poi allo Store Club – il cocktail Fenice 78, me lo vidi rinominare come Conte Ridolfi 1926 durante un viaggio a Riccione, al Balena. Un nome nuovo, una memoria ormai sbiadita.
Non che il Ridolfi 1926 non esista davvero: è stato rilanciato di recente in omaggio al fondatore della Fiorentina, ma con una ricetta diversa da quella originale, presentata durante una festa del club viola. Chi volesse replicarlo oggi deve procurarsi ingredienti non comuni:
22,5 ml di sciroppo di rosmarino fatto in casa
22,5 ml di succo di lime
45 ml di Gin Mare (gin mediterraneo aromatizzato con basilico italiano, timo greco, rosmarino turco, agrumi spagnoli e oliva Arbequina catalana)
120 ml di cedrata Cortese.
Per decorare, Patrizio Monsorno usò albume d'uovo aromatizzato con rosmarino, fiori di lavanda e issopo.
Il mio Fenice 78, invece, nacque davvero in un pomeriggio d'estate del 1978, dopo una lezione di tedesco, servito a un gruppo di turiste tedesche di mezza età. Era la mia creazione, e la ricetta per tre persone era questa:
100 ml di tequila blanco
20 ml di succo di limone siciliano
5 ml di Tabasco
20 ml di amaro calabrese
210 ml di Campari
un pizzico di sale e uno di zucchero.
Si prendeva un bicchiere highball raffreddato, si inumidiva il bordo con il limone e lo si cospargeva per metà di sale e per metà di zucchero. Il cocktail si preparava direttamente nel bicchiere, con una sola garnish esterna: un bicchierino di vermouth bianco (o Martini) con due gocce di Tabasco, da bere prima del cocktail.
Lo ricordo come fosse ieri: era il mio penultimo giorno di lavoro al Ridolfi. Quelle signore tedesche erano tra le ultime clienti e dicevano di venire solo per me – o almeno così traducevano – "perché imparassi il tedesco e facessi i miei pastrocchi", ovvero i miei cocktail.
Ricordo che lo chiamai Fenice per colpa dell'araba Fenice, una creatura che rinasce dalle proprie ceneri dopo la morte e proprio per questo motivo, simboleggia la rinascita in omaggio alla rivincita di pugilato tra Muhammad Ali e Leon Spinks, il 15 settembre 1978. Dove Ali vinse rinascendo campione, ai punti, al quindicesimo round, con verdetto unanime. Cinque giorni dopo sarei tornato a scuola, a Reggio Calabria.
La mia carriera dietro il bancone durò poco, ma il Fenice 78 la lasciò impressa. Lo rifeci più volte, l'anno seguente, allo Store Club. Tra un Negroni e un altro, quel cocktail divenne famoso al Lido di Savio, a Milano Marittima e a Cesenatico — anche per colpa di quel bicchierino "preparatorio" e della propaganda delle signore tedesche che tornavano ogni estate, chiedendo di me e del "pastrocchio". Era diventato un cocktail a diffusione tedesca sulla riviera romagnola.
Oggi preferisco berlo da Denavino, preparato da Andrea De Stefano, o d'estate al Kalura da Vasile Vidrasco che ha proposto il complesso ma immediato "Negroni di sera, bel tempo, si spera" a base di marmellata di pomodoro e basilico. Attenti a questi due.
Anche se, chissà… un giorno, in un momento di quiete, potrei tornare dietro al bancone.
Ma solo per gli amici.
Andrea Ruggeri
