Analisi: L’arroganza dei mediocri e il silenzio che uccide la verità

30.05.2025

Oggi mi sono divertito.
Come spesso accade, ho letto gli articoli dei colleghi. A volte ci trovo intuizioni brillanti, finezze narrative e spunti degni di nota. Altre volte, purtroppo, solo confusione e approssimazione. Ma oggi, leggendo l'editoriale di Luigi Palamara su metrocity.live, dal titolo "L'arroganza dei mediocri e il silenzio che uccide la verità", mi sono fermato.
Mi sono fermato perché, pur non condividendo sempre il suo pensiero, in questo caso l'ho sentito vicino (pensavo infatti ad un'autocritica). Forse perché racconta qualcosa che anch'io, quotidianamente, vivo sulla mia pelle.

Ieri – ma in realtà ormai sempre più spesso – mi sono trovato a fare i conti con l'assalto dei giornalisti "microfonati" a Salvini: quelli che, con fare convulso e teatrale, si piazzano davanti al potente di turno con un microfono come se bastasse quello per essere giornalisti.
E mentre cercano un titolo facile, ti impediscono di fare il tuo lavoro: quello vero, fatto di ricerca, confronto, sguardo lungo e coraggio. Alla fine, non lasciano nulla. Né un'idea, né una visione, né tantomeno una domanda che scalfisca davvero la superficie.

Non mi lamento più, ormai so cosa devo scrivere. Ma quel fastidio resta: non poter chiedere, con serenità, qualcosa che apra davvero nuovi orizzonti. Tanto poi l'ospite, preso alla sprovvista, si aggrappa a risposte scontate… e sparisce

E allora leggi un pezzo come quello di Palamara, e pensi: certo, avrei potuto scriverlo anch'io. Ma lui l'ha fatto, e l'ha fatto bene. E riproporlo, oggi, penso non faccia male a nessuno:

"Ci sono momenti in cui il giornalismo, quello vero, si prende una pausa. E non per stanchezza, ma per vergogna. Si ritira in disparte, schifato da un teatrino in cui le domande sono finzioni, le risposte sceneggiature, e chi dovrebbe cercare la verità non fa che recitare un copione scritto dalla mediocrità.
In giro ci sono troppi che si credono intervistatori solo perché infilano un microfono sotto al naso del potente di turno e sussurrano, come se fosse un atto eroico: «Com'è andato l'incontro?»
È l'apoteosi del nulla.
Non un'idea, non una visione, non una domanda che apra spiragli nel buio del potere. Solo codardia mascherata da professionalità. Vermi striscianti, non per natura, ma per scelta.
E allora succede l'irreparabile: l'informazione muore. Uccisa non dalla censura, ma dall'incompetenza. Dal servilismo travestito da cronaca. Dal provincialismo che chiama "giornalismo" ciò che è solo eco vuota di comunicati stampa.
Una città – qualunque città – senza una stampa libera e coraggiosa, è destinata a marcire. Non cresce, non si trasforma, non sogna. Resta ferma, inghiottita dalla sua stessa ignoranza, specchiandosi nei titoli di chi preferisce compiacere invece di disturbare.
La mediocrità ha preso il sopravvento. Ma non è inevitabile. Possiamo ancora dire no. Possiamo ancora alzarci in piedi e difendere il diritto a una parola onesta, a una domanda che faccia tremare i polsi, a un'editoria che non sia complice ma coscienza.
Io non ci sto.
E voi?"

Complimenti a Luigi per l'autocritica.
Su tante cose siamo distanti, su altre ci sfioriamo. Ma quando succede che le sinergie si incrociano, scopro che qui a Reggio Calabria, la qualità di alcuni colleghi non è affatto da sottovalutare.

Andrea Ruggeri