C'era una volta il calzolaio ... e c'è ancora

Le fiabe sono sempre affascinanti: racconti che ci aiutano a ricordare tempi e cose meravigliose. E questa storia potrebbe iniziare proprio così: "C'era una volta il calzolaio...".
A Gallico, in via Nazionale 96/B, la calzoleria Doldo è più di una bottega: è la speranza del recupero di un mestiere nobile, custodito nei nostri ricordi e reso attuale dalle necessità di ogni giorno. Damiano e il figlio Antonino portano avanti quest'arte con passione, non per hobby, per vivere. Hanno un occhio rivolto al passato, al valore di un lavoro antico soffocato dall'usa e getta del consumismo, e l'altro proiettato al futuro, cercando di far spazio all'ingegno, alla creatività e al passaggio di saperi tra generazioni.
Il calzolaio non è soltanto un negozio pieno di scarpe e borse, magari un po' incasinato, con l'inconfondibile profumo di cuoio e vernice. È un rifugio dell'artigianato, un laboratorio dove si crea e si ridà dignità agli oggetti. Dove una scarpa può diventare unica, personalizzata, durevole. Dove si ripara e si rinnova.
Fino al secolo scorso, ogni paese, borgo o cittadina contava almeno una bottega di calzolaio, detto anche "ciabattino" o, in dialetto, "scarpàru". Questi artigiani non solo riparavano, ma confezionavano scarpe su misura, vere opere d'arte, pezzi unici di grande pregio. E ancora oggi, Damiano riesce a trasformare una vecchia scarpa in un accessorio di prestigio.
Gli basta una stanza, o anche tre – come nel suo caso, due più piccole – purché ben illuminate. Lo trovi lì, seduto su una sedia bassa, con un grembiule di pelle, chino sul banco da lavoro: le mani esperte che tirano lo spago, forano il cuoio, passano la cera, cuciono, inchiodano. I chiodini stretti tra le labbra, lo sguardo che non si alza nemmeno mentre ti spiega perché ha bisogno di un piccolo anticipo (i clienti che spariscono o ritornano dopo anni sono tanti…). Poi si risiede, riprende il lavoro con pazienza e amore: accarezza le sue creazioni come fossero creature vive.
Davanti a lui e ad Antonino, un tavolo traboccante di attrezzi e materiali: chiodi, colla, cera, forbici, lèsina, raspa, spago, trincetto, pelle, cuoio… e una spazzola dura con dei chiodi, usata per raschiare il cuoio e dare migliore aderenza alle suole. Attorno, una marea di scarpe da uomo e da donna, molte dimenticate dai clienti, ormai diventate quasi decorazioni della bottega.
E poi, immancabili, le forme in legno o metallo per modellare le scarpe. Un tempo tutte dritte, poi differenziate tra destra e sinistra. Per chi ha piedi "importanti" o "difficili", come i miei, Damiano comincia prendendo le misure con una staffa particolare, poi prosegue con il metro.
Oggi sono passato da lui per verniciare un paio di scarpe e sistemare tacco e suola. Il mestiere del calzolaio, per quanto fondamentale – dopotutto tutti usiamo scarpe, e almeno il 50% delle persone anche borse – non è mai stato davvero valorizzato. Ma con la crisi e il ritorno alla qualità, alla riparazione anziché allo spreco, il mestiere ha ripreso vigore. Stamattina eravamo in cinque in attesa da Doldo.
Le scarpe accompagnano l'uomo da sempre. Già nel 9000 a.C., negli attuali Stati Uniti, si trovano tracce di calzature preistoriche. Nell'antichità erano comuni i sandali, mentre nel deserto si usavano antenati degli infradito, con suole larghe per non sprofondare nella sabbia. Gli antichi Romani prediligevano sandali, nel Medioevo si camminava con zoccoli di legno, e i più poveri si accontentavano di stoffe avvolte attorno ai piedi.
Le prime scarpe simili alle nostre comparvero in Inghilterra e Francia nel XIV secolo, con punte lunghissime che riflettevano il rango sociale. Con Carlo VIII di Valois la punta fu accorciata, e nacquero modelli chiamati "a piede d'orso" o "a becco d'anatra". Nei secoli successivi apparvero le pianelle, pantofole con zeppa in sughero, mentre con Re Sole – di bassa statura – arrivò la moda dei tacchi alti, per uomini e donne. A Venezia nel XVIII secolo nacque il pattìno, una sorta di sovrascarpa per proteggersi da acqua e fango.
Le scarpe moderne – escluse quelle degli ultimi coraggiosi artigiani come Damiano – sono frutto dell'industrializzazione del XIX secolo. Vengono prodotte in serie e cambiano stile continuamente. E il tacco da uomo? Quasi scomparso…
Un consiglio ai Reggini: una scarpa cinese può sembrare un affare, ma dura poco e si riconosce per la scarsa qualità. Una scarpa italiana, invece, è inimitabile. Aggiustarla, ridipingerla, rifare il tacco o la suola è un piacere per i piedi e un investimento duraturo.
E non è solo perché Damiano è il mio calzolaio – per cui percorro sempre 40 chilometri per raggiungerlo – ma perché mi fa fare figùroni con scarpe che altri butterebbero via o lascerebbero chiuse in una scatola.
Riparare scarpe, cinture, borse, fare tinteggiature, lucidare accessori, lavorare alzatacchi, aggiungere bottoni automatici e anelli ai jeans, cambiare zip, cursori, fibbie, calamite e molto altro. Sicuramente avete a casa un oggetto di valore che potrebbe tornare a splendere. E grazie a Damiano e Antonino tornerà davvero ai vecchi tempi.
Allora, prendete quelle belle scarpe che hanno bisogno di una rinfrescata, di un tacco nuovo o di una suola rifatta, e fate un salto da loro. Sono a Gallico, in via Nazionale 96/B, a pochi metri dalla piazza, con fermata dell'autobus proprio lì accanto.
Ops, dimenticavo…
Grazie Damiano, per le belle scarpe. Farò un figurone, ancora una volta.
Andrea Ruggeri