Immigrazione, globalizzazione e Stato nazionale: prospettive critiche

Il dibattito sull'immigrazione non può prescindere dal rapporto tra globalizzazione e questione nazionale. La globalizzazione, intesa come rimondializzazione capitalistica a guida americana, ha mostrato segni di crisi con l'emergere di nuovi poli strategici, cercando oggi un rilancio attraverso destabilizzazioni geopolitiche e militari. Lo Stato nazionale, pur depotenziato nella sovranità finanziaria e politica, resta un nucleo di resistenza culturale, opponendosi all'omologazione globale, secondo Costanzo Preve.
Cruciale è distinguere tra l'identità culturale americana e l'americanizzazione, ossia l'imposizione di un modello unico che impoverisce le culture locali. Al contrario, le identità sociali e individuali si fondano sulla pluralità culturale: senza dialogo tra le nazioni, non può esserci dialogo tra gli individui.
La questione linguistica emerge come determinante: Goethe osservava che "chi parla due lingue vive due vite", mentre Cioran sottolineava che "non si abita un Paese, si abita una lingua". L'integrazione richiede il riconoscimento della lingua e della cultura del Paese ospitante. L'assenza di politiche linguistiche efficaci, soprattutto nelle migrazioni mediterranee dirette verso l'Italia, rischia di generare ghetti e tensioni sociali, impedendo la reale multiculturalità.
L'integrazione virtuosa non presuppone lo sradicamento degli immigrati, ma la possibilità di condividere lingua, storia e patrimonio culturale italiano senza rinunciare alle proprie radici. Esperienze simili esistono già per le minoranze storiche bilingui riconosciute dalla Costituzione. La scuola svolge un ruolo centrale in questo processo, ma è stata progressivamente piegata alle esigenze del potere economico-finanziario globale, indebolendo la formazione culturale e linguistica necessaria per cittadini pienamente integrati.
Una possibile soluzione passa dalla rivitalizzazione dei centri interni e appenninici, oggi spopolati e degradati, dove immigrati e giovani italiani potrebbero acquisire competenze professionali e culturali, contribuendo a invertire il trend demografico negativo. Tuttavia, secondo l'autore, realizzare tale modello richiede un cambiamento radicale delle condizioni geopolitiche ed economiche, con l'uscita dall'eurozona, dalla NATO e dall'Unione Europea, viste come strumenti di subordinazione e vincolo alla sovranità nazionale.
Le politiche dell'UE, inoltre, puntano a una progressiva regionalizzazione, che indebolisce la sovranità degli Stati membri e accentua le fragilità storiche italiane, caratterizzate da un'unità tardiva e da profonde differenze culturali, linguistiche ed economiche tra le regioni. La varietà dei dialetti e delle tradizioni locali, se valorizzata correttamente, può diventare un elemento di ricchezza e coesione nazionale.
In conclusione, l'Italia si trova di fronte a una scelta strategica: perpetuare la propria subordinazione al globalismo o costruire un modello nazionale di integrazione, fondato su lingua, cultura e valorizzazione dei territori, capace di coniugare l'eredità storica con le nuove influenze culturali dei migranti, generando una società più coesa e resiliente.
Alex Garcia