Perché l'odio dilaga?

31.05.2025

«Auguro alla figlia della Meloni la sorte della ragazza di Afragola».
Il messaggio – postato su Facebook da un utente che si qualifica come dipendente del Ministero dell'Istruzione e del Merito – ha varcato la soglia dell'odio simbolico per trasformarsi in una minaccia di morte rivolta a una bambina di appena sette anni, Ginevra Meloni. A denunciarlo per primo è stato un collega del ministero, che ha inviato segnalazioni formali alla Polizia Postale e al ministro Giuseppe Valditara, chiedendo «provvedimenti durissimi» contro l'autore del post. Il ministro ha assicurato «l'immediata individuazione del responsabile e l'avvio di tutte le azioni disciplinari e penali del caso». 

Il riferimento macabro

La "sorte della ragazza di Afragola" allude al femminicidio di Martina Carbonaro, 14 anni, uccisa a colpi di pietra dall'ex fidanzato il 28 maggio scorso e abbandonata in un edificio diroccato alle porte di Napoli. Un delitto che ha scosso il Paese e che la premier aveva definito «una violenza che lascia senza fiato». Evocare quell'omicidio per colpire la figlia di un avversario politico supera il confine tra l'invettiva e l'istigazione alla violenza.

Reazioni politiche

«Clima malato, un odio ideologico in cui tutto sembra lecito, persino augurare la morte di un bambino per colpire un genitore», ha scritto Giorgia Meloni. La solidarietà è stata trasversale. Per Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria, «colpire una bambina augurandole morte e sofferenza è un gesto vile e disumano che supera ogni limite».

Il profilo penale e disciplinare

In Italia le minacce di morte rientrano nell'art. 612 c.p.; l'aggravante scatta se il bersaglio è un minore o se la minaccia è "grave". Per un dipendente pubblico l'episodio può comportare licenziamento senza preavviso (d.lgs. 165/2001 e Codice di comportamento dei dipendenti pubblici) e, in caso di condanna, l'interdizione dai pubblici uffici. La Procura di Roma ha già aperto un fascicolo: la giurisprudenza più recente qualifica frasi di questo tipo come «minaccia aggravata» e «istigazione a delinquere» quando il messaggio può spingere terzi ad azioni violente.

Il fenomeno in numeri

Il caso non è isolato. Il report 2024 della Polizia Postale documenta 54.554 fascicoli d'indagine sui reati informatici, con 7.884 persone denunciate; le minacce online verso figure pubbliche rappresentano una quota in crescita, tanto che il Centro Nazionale per il contrasto alla criminalità informatica ha istituito un nucleo dedicato al hate speech politico. 

Perché l'odio dilaga

  1. Effetto moltiplicatore dei social: la viralità riduce i tempi di reazione delle piattaforme e facilita la riproduzione di contenuti violenti.

  2. Anomia digitale: l'apparente anonimato abbassa le inibizioni e favorisce la de-umanizzazione dell'avversario.

  3. Polarizzazione della sfera pubblica: la dialettica politica si è spinta oltre la critica, trasformando la delegittimazione simbolica in minaccia fisica.

  4. Mancanza di alfabetizzazione emotiva: l'attacco a un bersaglio inerme si trasfigura in "sfogo autorizzato", con un trasferimento di responsabilità dal singolo al gruppo.

Cosa si può (e si dovrebbe) fare

  • Applicare il Digital Services Act: rimozione rapida dei contenuti illegali e sanzioni alle piattaforme che tardano.

  • Educazione civica digitale obbligatoria: inserire nei programmi scolastici moduli permanenti su linguaggio d'odio, conseguenze legali e responsabilità personale.

  • Piano nazionale di tutela per i minori dei rappresentanti istituzionali: simile al modello francese che garantisce monitoraggio h24 e interventi immediati della polizia giudiziaria.

  • Trasparenza disciplinare: pubblicare gli esiti dei procedimenti contro i dipendenti pubblici che incitano alla violenza, per rafforzare la deterrenza.

Una soglia da non oltrepassare

Criticare chi governa è fisiologico in democrazia; augurare la morte a un figlio di sette anni non è libertà d'espressione, ma un atto di violenza simbolica che minaccia le fondamenta del dibattito pubblico. Finché non verrà ristabilito – con sanzioni tempestive e un investimento strutturale in cultura digitale – il principio che la dignità delle persone, ancor più dei minori, è inviolabile, nessuno potrà dirsi veramente al sicuro dietro lo schermo.

Djàvlon