Primo maggio: parole, retorica e una realtà che non cambia mai

Alla vigilia del Primo Maggio, qualcuno torna ad accorgersi di una verità che dura da decenni: nel cuore delle istituzioni italiane, come il Quirinale, lavorano oltre 1600 persone con stipendi altissimi, spesso del tutto sproporzionati rispetto a quelli percepiti dalla stragrande maggioranza dei cittadini. Un microcosmo di privilegi che cozza con le difficoltà quotidiane di milioni di italiani.
Negli ultimi giorni, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha tenuto un discorso a Latina, in occasione della Festa dei Lavoratori. Lo ha fatto visitando la BSP Pharmaceuticals, un'azienda farmaceutica.
"Il lavoro è alla base della Costituzione italiana ed è progresso, non può essere morte", ha dichiarato. Ha poi sottolineato un dato allarmante: i salari reali sono ancora troppo bassi. A marzo 2025, ha detto, risultano inferiori dell'8% rispetto a quelli di gennaio 2021.
Parole forti, ma che arrivano dopo 14 anni di Presidenza e di immobilismo sul piano sociale e salariale. Per molti, suonano come retorica istituzionale: una constatazione sterile, che non cambia nulla. E del resto, Mattarella è lo stesso Presidente che oggi denuncia problemi che si sono aggravati anche durante il suo stesso mandato.
Nel suo intervento ha parlato anche di sicurezza: "È inaccettabile l'indifferenza per le morti sul lavoro. Scandaloso il caporalato, da contrastare il trattamento ingiusto degli immigrati." Ha inoltre espresso preoccupazione per i dazi promossi dall'ex presidente USA Donald Trump, che secondo lui rischiano di compromettere l'accesso alle cure sanitarie nei paesi più poveri e danneggiare l'economia globale, Italia compresa.
La pandemia, e i danni provocati con la complicità del settore medico farmaceutico no? Non ha provocato danni?
I cittadini sono stanchi delle parole. Perché non basta riconoscere un problema se poi non si fa nulla per risolverlo. Troppo facile dire a un disoccupato "il lavoro è progresso" mentre si vive in un palazzo dorato, protetto da ogni disagio. Il rischio è che la figura del Presidente sembri sempre più quella di un Re che, da sotto lenzuola di filo egiziano, guarda un disoccupato o un sottopagato per strada e gli dice: "Non mi piace che tu stia lì", senza però muovere un dito.
Il Primo Maggio ha perso significato. È diventato la festa degli show strapagati, delle dirette TV e dei concerti sponsorizzati. I lavoratori veri, molti dei quali oggi sono disoccupati o sottopagati, non hanno nulla da festeggiare. Lo sanno bene: un lavoro dignitosamente retribuito è ormai un lusso. Basta guardare i numeri dell'assegno di inclusione per capire che la precarietà è la regola.
Forse serve ripensare il mondo del lavoro, e questo è compito dei governi. Certo, gli esecutivi precedenti hanno le responsabilità maggiori, che non si cancellano. Ma chi ha avuto il potere – e lo ha tuttora – ha il dovere di agire. Perché i cittadini non chiedono parole. Chiedono giustizia, lavoro e dignità.
Andrea Ruggeri