Ranucci, l'ANM e la Retorica dell'Eroe

Il giornalista Sigfrido Ranucci, reduce dai recenti e gravi atti intimidatori, come l'esplosione della sua automobile, ha partecipato all'assemblea generale dell'Associazione Nazionale Magistrati (ANM). Il conduttore di "Report" è stato accolto da un prolungato e caloroso applauso da parte della platea dei giudici.
Questo episodio riaccende il dibattito sulla retorica dell'eroe nel contesto italiano. L'accumulo di intimidazioni subite da Ranucci e da altri esponenti politici o no, nel corso degli anni (dalle pallottole in giardino, ai giornali bruciati davanti al portone, minacce di morte, fino all'esplosione dell'auto), pur essendo eventi gravi, sono accomunati dalla mancanza di colpevoli accertati e da indagini percepite come ininfluenti, ma il clamore mediatico viene usato sempre politicamente all'infinito, dimenticando il decorso dell'evento..
A molti non sfugge che tali episodi, pur deplorevoli, finiscono per alimentare una sorta di campagna mediatica che eleva chi subisce il danno a figura indiscussa, trasformando la vittima in un eroe. Ciò solleva un dubbio fondamentale: in una società matura, la stima e il riconoscimento pubblico non dovrebbero basarsi esclusivamente sui meriti e sulle capacità professionali, anziché sulla visibilità generata da un'aggressione subita?
La dinamica all'interno dell'ANM accentua le perplessità. Lo stesso Ranucci ha ironizzato sul proprio status, dichiarando dopo l'applauso: "Credo sia il più lungo applauso dedicato a un pluri-indagato da parte dei magistrati, viste le 220 e passa querele". Questo riferimento ironico alle inchieste che lo hanno coinvolto (relative alle querele ricevute) è significativo.
Il messaggio inviato dai giudici è duplice. Se da un lato l'applauso può essere letto come solidarietà per l'attentato, la chiarezza politica arriva poco dopo: interpellato sulla giustizia, Ranucci si è espresso contro la separazione delle carriere tra Pubblici Ministeri e giudici. A questo punto, il lungo applauso rischia di apparire meno come un atto di mera solidarietà e più come un chiaro segnale di consenso politico su un tema cruciale per l'ANM.
In conclusione, l'intera vicenda lascia l'osservatore con una sensazione di profonda confusione, dove la cronaca personale si intreccia indissolubilmente con la politica giudiziaria. Come spesso accade in Italia, i fatti sembrano allinearsi in modo troppo conveniente.
È doveroso ribadire la condanna incondizionata verso l'atto intimidatorio subito dal collega; su questo punto non può esserci dissenso. Tuttavia, resta un interrogativo cruciale: un professionista, dopo aver subito un attentato grave come l'esplosione dell'auto, dovrebbe intraprendere una "campagna politica" mediatica, oppure chiudersi in una riflessione più ampia su chi, come e perché, concentrando le energie sull'accertamento della verità?
Questa ambiguità richiama il celebre detto, attribuito a Papa Pio XI (Achille Ratti) e reso popolare da Giulio Andreotti: "A pensar male del prossimo si fa peccato, ma si indovina". L'espressione si adatta perfettamente ai pensieri che sorgono di fronte a tale allineamento di eventi.
Resta inteso che gesti così vili e ripetuti devono essere fermamente combattuti, e i colpevoli rintracciati e puniti con la massima severità.
Masaniello Pasquino
