Risposta a Elisa – Una riflessione sul senso di giustizia e sul doppio standard umanitario

10.09.2025

Cara Elisa,

comprendo che la vostra azione, con la Global Sumud Flotilla, nasca da un forte senso di ingiustizia e dalla volontà di dare voce a chi oggi è sotto attacco. Ma credo sia legittimo, in uno spazio democratico, porre alcune domande e riservare anche delle critiche, quando si parla di azioni simboliche e potenzialmente rischiose come le flottiglie verso Gaza.

In primo luogo, l'episodio del presunto attacco alla "nave guida" — inizialmente descritto come bombardamento — si è rivelato essere un maldestro lancio di razzi di segnalazione da parte della stessa imbarcazione. Le immagini, le testimonianze e i filmati disponibili sembrano smentire la tesi dell'attacco militare. Sarebbe auspicabile che, prima di lanciare allarmi mediatici, ci fosse maggiore responsabilità nella gestione delle informazioni.

Detto questo, la vostra scelta di rischiare la vita per denunciare la sofferenza dei palestinesi merita rispetto, anche se non la condivido. Ma proprio perché la vostra azione è presentata come umanitaria, chiedo: perché non vediamo mai flottiglie per i cristiani massacrati in Nigeria? Solo nel 2024, secondo diverse organizzazioni indipendenti, sono stati uccisi migliaia di cristiani da milizie jihadiste, eppure su questo regna un silenzio quasi totale, anche nei movimenti pacifisti europei.

Non voglio sminuire il dramma di Gaza — che è reale, doloroso, e va condannato con fermezza, specie quando colpisce civili innocenti — ma mi disturba il costante squilibrio del racconto umanitario. Le vittime hanno dignità indipendentemente dal passaporto, dalla fede o dalla geopolitica.

Inoltre, quando si intraprende un'azione civile sapendo di andare incontro a una reazione potenzialmente militare da parte di uno Stato sovrano, bisogna anche assumersene le responsabilità. È incoerente, a mio parere, chiedere protezione allo Stato italiano dopo essersi messi deliberatamente in rotta di collisione con un'area di conflitto attivo, per di più sotto leggi marziali e in contesto di guerra.

Infine, dici che "se soffochiamo il senso di giustizia, moriamo". È una frase che comprendo e che risuona. Ma io ti chiedo: quale giustizia, e per chi? Perché se il senso di giustizia è selettivo, se si accende solo per alcune vittime e ignora altre in modo sistemico, non è più giustizia. È solo ideologia.

Andrea Ruggeri