Stu telefònu ci rùbbau puru l’occhi: scuola, smartphone e un’adolescenza sospesa

I cellulari, quegli aggeggi che dieci anni fa sembravano solo comodi strumenti di comunicazione, oggi sembrano essersi impossessati della testa – e forse pure dell'anima – dei nostri ragazzi. Entrano a scuola nascosti tra i libri, escono dalle tasche come coltellini svizzeri digitali, e continuano a brillare anche a notte fonda sotto le lenzuola, mentre mamma pensa che suo figlio dorma.
La scuola, almeno quella italiana, ha finalmente detto "basta". Con la circolare ministeriale 5274 dell'11 luglio 2024, il Ministero dell'Istruzione ha vietato l'uso degli smartphone nelle scuole dell'infanzia, primarie e medie. Anche per scopi didattici. Un atto necessario, dicono in molti, un ritorno alla concentrazione, al quaderno, al diario cartaceo. Ma è davvero così semplice?
Il problema è più grosso: "'u telefònu 'un si spegne fora scola"
Il vero nodo, però, non è dentro l'aula. È fuori. È quel filo invisibile che tiene i ragazzi incollati allo schermo anche quando la campanella ha smesso di suonare. Lo smartphone è diventato il prolungamento della mano, e a volte anche del cuore e della testa. Notifiche, social, video, chat – una realtà parallela dove tutto accade più in fretta e dove, spesso, si perdono il silenzio, la noia creativa e l'osservazione del mondo reale.
Dati alla mano: il 38% degli studenti ammette di essere distratto in classe dal proprio cellulare. Ma quel che fa più impressione è il fuori orario. L'abuso di tempo online compromette il sonno, l'umore, la capacità di gestire l'ansia. Il cyberbullismo è una piaga silenziosa: oltre la metà dei ragazzi tra i 10 e i 18 anni ne è stata vittima almeno una volta.
I ragazzi di Via Friuli avevanu un pallone, nu motorino e tanta strata davanti
Noi, quei ragazzi di Via Friuli, dove sono cresciuto a Reggio Calabria avevamo sogni che si rincorrevano dietro al Judo Club, storie d'amore nate al campetto o nei corridoi del Frangipane, e giornate intere a studiare come rubare tempo al tempo per comprarsi una Vespa. Ora i ragazzi vivono tutto online, compresi i sentimenti. Le dichiarazioni d'amore sono emoji, i litigi si consumano via vocali, le delusioni sono cancellabili con un "disattiva notifiche". Vogliono tutto quello che gli infilano in testa, ma non vivono niente.
Eppure, nessun divieto potrà spegnere uno smartphone quanto una passione vera, vissuta nel mondo reale: lo sport, l'arte, il teatro, una chiacchierata vera – magari davanti a un caffè o una granita. Lo sapevamo noi, che alle prime cotte ci parlavamo con gli occhi, e ogni addio era scritto a mano su carta ruvida.
Educare, non solo vietare
Allora la vera sfida non è solo bandire i telefoni dalle aule, ma educare al loro uso. Insegnare ai nostri figli che lo smartphone è uno strumento, non una casa, e nemmeno una famiglia. Che si può stare scollegati per qualche ora senza perdere il mondo. Che la vita vera, quella che lascia i segni, sta ancora nei vicoli, nei tramonti sullo Stretto, nei silenzi tra amici, nei campetti di quartiere, e sì – anche nel fallimento, nella noia, nell'attesa.
Se c'è una lezione da portare avanti, è che non possiamo combattere il digitale con la nostalgia, ma con la responsabilità. E con l'amore. Perché, come dicevano le nostre nonne, "i picciriddi nun t'ascoltanu, ti guardanu". Se vogliamo salvarli dall'abisso di uno schermo, dobbiamo essere i primi a spegnerlo.
Quindi dopo aver letto quest'articolo spegnete per un'ora il vostro smartfone.
Andrea Ruggeri